Quest’anno compirò 40 anni, e, molto probabilmente, li “festeggerò” in quarantena, non male, anzi, ottima soluzione per uno che non ha mai amato festeggiare il proprio compleanno.
Siamo stati tutti bambini e ogni epoca ha avuto la sua infanzia.
La mia, metà anni ’80, primi anni ’90, credo faccia parte di quella “fine analogica”/“prima digitale”, mi spiego meglio: 80% del tempo, clima permettendo, al “campino” della Parrocchia di fronte casa a giocare a qualsiasi cosa (calcetto, basket, ecc.), 20% in casa a guardare Bim Bum Bam su Italia 1, giusto un’oretta o poco più, non durava tanto e inglobava alcuni tra i cartoni animati più ganzi del tempo tipo Holly & Benji, Mila & Shiro ecc. (niente Boing, Cartoon Network, Disney Channel e la miriade di canali che ci sono oggi oltre, e soprattutto, a YouTube) oppure a suonare il pianoforte e, di conseguenza, visti gli esercizi ripetitivi che dovevo fare, a rompere ai vicini di casa.
Come premio se andavi “decentemente“ a scuola potevi ambire ad un Game Boy, o il Nintendo o, mi ricordo ancora ancora quando me lo regalò mio fratello per Natale, il Sega Mega Drive.
Se, il pomeriggio tornato da scuola, la mamma, dal lavoro, ti chiamava a casa (non esistevano i telefonini durante la mia infanzia/adolescenza) e diceva di non uscire, tu non dovevi uscire, t’incazzavi, sbuffavi, ma non uscivi e, vai tranquillo, che se uscivi e lei lo veniva a sapere o, peggio, ti beccava, erano cazzi.
Non avevamo Sky (solo a metà anni ’90 avrebbe timidamente preso piede Tele+ con due soli canali, uno per lo sport e uno per il cinema), non era scontato avere un pc in casa e non esisteva internet (le prime connessioni “serie” con il modem a 56k per intendersi si sarebbero diffuse solo verso le fine degli anni ’90 e solo all’inizio del nuovo millennio sarebbe arrivata la prima adsl), di conseguenza niente ipad, tablet, smarthphone, social ecc,.
Nel ’98 l’unico passatempo che potevi avere con i primi telefonini era giocare a “Snake” con il Nokia, ma dopo 10 minuti già ti eri annoiato.
Non esisteva whatsapp e gli sms li pagavi tutti e costavano 200/300 lire l’uno prima del 2002 e successivamente 12 o 15 centesimi a seconda dell’operatore, quindi, quando mandavi un sms, pensavi attentamente a cosa avresti scritto e soprattutto avresti dovuto farlo in 144 caratteri, altrimenti sforavi e pagavi due o più sms a seconda della lunghezza del messaggio. (Se penso che oggi c’è gente che ti manda 8 whatsapp solo per chiederti “Come stai?”).
Nel ’99 arrivò la Wind che tolse lo scatto alla risposta (prima di allora non sapevo nemmeno cosa fosse), ti faceva pagare i secondi effettivi della chiamata e non più scatti/minuti anticipati per difetto, ma, soprattutto, a chi attivava una scheda regalava gli sms per un anno, non potete capire che roba pazzesca.
Nel 2002 sempre la Nokia mise in commercio il primo telefonino che permetteva di fare e inviare foto (a costi allucinanti chiaramente).
Nel 2003 nacque la TRE e come offerta lancio mise in commercio i primi videofonini, potevi fare le videochiamate solo tra telefonini tre, inizialmente gratis (offerta lancio) e poi a pagamento ma con scarsissimi risultati, la qualità era veramente bassa, molto, ma molto peggio di una pessima videochiamata su whatsapp o FaceTime di oggi.
Tante partite al campino, tante sudate, tanti tiri a canestro e anche tanti giri in bicicletta, sempre clima permettendo, altrimenti gli “sfoghi” erano gli allenamenti a calcio, il catechismo in Parrocchia e poi, soprattutto d’inverno, tanto tempo in casa, televisione, pianoforte. Non amavo leggere, crescendo, fortunatamente, ha iniziato a piacermi e anche tanto come cosa.
La domenica era micidiale: non esistevano i centri commerciali e i negozi erano davvero tutti chiusi. Le partite o le vedevi allo stadio o le ascoltavi alla radio e dovevi aspettare le 18.10 su Rai Uno per vedere i goal a 90esimo minuto. Quando eri piccolo potevi sperare in una scampagnata da qualche parte con la famiglia e, in età di motorino, potevi andare a fare un giro con gli amici da qualche parte, ma la domenica era comunque veramente micidiale.
Durante la mia adolescenza uscivamo verso le 15 e stavamo tutti insieme “in compagnia” (così veniva definito il gruppo di amici che frequentavi il pomeriggio e che non era necessario fossero compagni di scuola, anzi nel mio caso era proprio il contrario, abitando in una zona diversa e lontana rispetto alla scuola che frequentavo), con i primi scooterini andavi a fare un giro, ma niente di più.
Al Liceo le cose sono cambiate/migliorate con la possibilità di uscire il sabato sera e andare a mangiare una pizza, cene a casa di amici, e dopo anche in discoteca.
Questa lunga premessa per arrivare al punto della questione:
“Mamme che si lamentano per fare uscire qualche ora i propri bambini costretti a stare in casa per la quarantena.”
Stiamo scherzando vero?
Perché non lo vanno a dire alle infermiere/i, medici, lavoratori costretti a uscire di casa rischiando tutti i giorni il contagio?
Dicono che è come se fossimo in guerra (fortunatamente non ne ho mai vissuta una direttamente), quindi queste stesse mamme, in caso effettivo di guerra, dovrebbero lamentarsi di eventuali bombardamenti e chiedere ai soldati di non bombardare dalle 15 alle 16 perché devono far “sfogare” i proprio bambini.
Stiamo scherzando vero?
Ci lamentiamo della scarsa educazioni dei bambini e della mancanza di rispetto verso prof ecc., cavolo se l’esempio è questo ci credo.
Quando ero piccolo un NO era un NO.
Potevo fare qualche bizza, potevo lamentarmi, ma poi era no.
Al giorno d’oggi non riusciamo a dire NO ad un bimbo?
Non dico spiegargli, è un bimbo del resto, ma fargli capire, anche con la storiella del lupo cattivo o dell’uomo nero, che NO non si deve uscire di casa.
Oggi un bambino, o adolescente, ha: internet, smartphone, in alcuni casi Sky, Netflix, Prime Video, Disney Plus, social network, può videochiamare, può suonare, può “creare” direttamente nella sua cameretta anche con un banalissimo pc/mac entry level.
Ha infinite possibilità di “ammazzare” il tempo.
Ogni giorno di questa quarantena forzata penso a cosa avrei fatto o come mi sarei comportato se tutto questo fosse successo 20/25 anni fa, oppure a come l’avrebbero vissuta i nostri genitori durante la loro adolescenza , in alcuni casi veramente post guerra.
Tutto questo per dire: riflettiamo quando ci lamentiamo, o quando facciamo richieste allucinanti.
Io per primo ho sottovalutato questa emergenza, ma solo perché le info che ricevevo erano contrastanti, contraddittorie e in alcuni casi anche ridicole.
L’unico modo per sconfiggere (si spera) questa pandemia, così ci stanno dicendo virologi e medici e a loro io credo, è stare chiusi in casa, NON andare a piedi per centinaia di km al freddo oppure stare ore sotto al sole cocente a spalare sabbia.
Ci dicono di stare in casa. PUNTO.
Più tempo riusciamo a stare a casa senza uscire, più le possibilità che questa situazione finisca aumentano.
E’ semplice e lo possono capire anche i bambini dai 4 anni in sù.
Chiamiamolo sacrificio, anche se per me, alla fine, i sacrifici sono altri.